8 MARZO, NON BASTANO MIMOSE E AUGURI: SUPERIAMO LA CULTURA PATRIARCALE
Come ad ogni 8 marzo si ripete il rito delle mimose e dei generici auguri alle donne. Per carità, anche il simbolo delle mimose ha una sua forza evocatrice. Purchè, finita la festa, appassite le mimose, si operi davvero per migliorare la condizione delle donne e archiviare la cultura patriarcale, che è la vera origine dei mali che affliggono le donne in famiglia, nei luoghi di lavoro, per strada, di giorno e di notte. E in politica, dove la cultura maschilista e le disparità di genere si manifestano ancora con frasi e aggressioni verbali sessiste, come è successo anche nell’evoluta Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna.
E non ha forse le radici nella cultura patriarcale, nell’idea di possesso e di sottomissione delle donne rispetto all’uomo, anche la piaga dei femminicidi? I dati del report del Viminale ci dicono che dal 1 gennaio al 3 marzo nel nostro Paese ci sono stati 20 femminicidi, 18 dei quali commessi in ambito familiare/affettivo. Numeri agghiaccianti che nascondono le vite di mogli, sorelle, figlie, che vorrei ricordare con i loro nomi: Rosa, Delia, Maria, Wendy, Teresa, Maria, Elisa, Ester, Annalisa, Silvana, Santina, Ewa, Antonella, Renée, Nicoletta, Alessandra, Maria, Maria Battista, Sara e Brunetta.
Da quanto tempo protestiamo per le differenze di genere sui luoghi di lavoro in termini di carriera e genderpaygap? In Italia a parità di mansione e parità di ruolo rispetto agli uomini le donne nel 2024 guadagnano ancora il 10% in meno, sempre che riescano a trovare un impiego, perché secondo i dati Eurostat riferiti al 2023, il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è pari al 51,1%, sotto la media europea che si attesta al 64.9%.
E’ per contrastare questa ingiustizia che, come capogruppo di Europa Verde – Verdi, con l’approvazione di una mia risoluzione ho ottenuto di impegnare la Giunta ad adottare il Gender responsive public procurement (Grpp), che introduce, nei bandi di gara, criteri intesi a premiare le imprese che promuovono la parità di genere.
Inoltre, con un’interrogazione, ho chiesto l’introduzione della valutazione di impatto di genere sulle politiche regionali, sulle azioni e sugli investimenti messi in campo trasversalmente nei vari ambiti di competenza della Regione Emilia-Romagna.
C’è un altro luogo, meno conosciuto, dove sono presenti disparità di genere: le carceri, dove le detenute, essendo in numero minore rispetto agli uomini (nelle carceri dell’Emilia-Romagna sono presenti 3.600 detenuti di cui solo 149 donne) subiscono condizioni di detenzione pensate per la popolazione maschile reclusa, come denunciato ieri dal garante regionale dei detenuti, Roberto Cavalieri e da Caterina Liotti del Centro documentazione donna di Modena, nel corso dell’inaugurazione della mostra “(In)curabile bellezza a cui ho partecipato in rappresentanza dell’Assemblea legislativa. Per le donne detenute, come evidenzia da anni l’Associazione Antigone, è più difficile se non impossibile rispetto ai detenuti accedere a percorsi di studio, professionalizzazione e reinserimento post carcere; negli spacci dei penitenziari non c’è disponibilità di articoli destinati ad acquirenti donne sempre a causa dello scarso numero di detenute che non rende appetibile commercialmente la fornitura di beni di consumo. Oggi, nella data simbolica dell’8 marzo, ho quindi deciso di depositare un’interrogazione che sollecita la giunta regionale a intervenire per migliorare la qualità e le modalità di detenzione delle donne nelle nostre strutture penitenziarie, favorendo soluzioni alternative di reclusione e percorsi di formazione professionale. Questa interrogazione è un piccolo segnale perché sia 8 marzo anche per le detenute, e per dare visibilità alle speranze, paure, desideri delle donne che in carcere vivono nel luogo dell’invisibilità per eccellenza.
Che questo 8 marzo sia una giornata di lotta, di rivendicazioni, di riflessione collettiva, di vera sorellanza tra donne. E di riflessione anche da parte degli uomini, che devono contribuire al cambiamento liberandosi e liberandoci dalle strutture di pensiero e di potere patriarcale.
Infine, mando un pensiero alle donne che in Iran combattono con coraggio contro il regime teocratico repressivo degli ayatollah; alle mogli e madri dei soldati russi e ucraini; alle donne curde, che anche per noi hanno sfidato l’Isis; alle donne in Afghanistan, che lottano, tra l’altro, per la propria istruzione; alle mogli e madri degli ostaggi israeliani prigionieri di Hamas; alle donne palestinesi sottoposte con le famiglie ai bombardamenti di Israele nella Striscia di Gaza che vivono lo strazio quotidiano della fame, della morte o ferimento dei figli.
Sicuramente ne ho dimenticate tante.
A tutte, buon 8 marzo… tutto l’anno.

Silvia Zamboni

Giornalista – Ambiente e Sostenibilità, Energia e Cambiamenti Climatici, Economia Circolare, Green Economy, Sharing e Digital Economy, Mobilità Sostenibile, Turismo Sostenibile, Agricoltura e Manifattura Biologica, Politiche Ambientali Europee.