In principio fu il loft, comunicativo ma spersonalizzante. Poi, sull’onda della rivoluzione telematica digitale, arrivò il telelavoro a domicilio: orari su misura di impegni familiari, ecologica eliminazione degli spostamenti casa-ufficio, ma anche isolamento e dilatazione dello spazio-lavoro dentro la sfera privata. Una decina di anni fa, dalla California, la nuova svolta: nasce il format di ufficio che combina la dimensione socializzante del loft con quella del lavoratore autonomo e abbraccia – ed è l’aspetto che fa la differenza – la filosofia collaborativa della condivisione.

Benvenuti nel mondo del coworking, gli uffici collettivi dove free lance, lavoratori flessibili, start-up e micro imprese ai primi passi possono affittare, anche per pochi mesi, singole postazioni attrezzate e utilizzare WiFi, servizi di segreteria e spazi comuni come sale riunioni, cucina e bar. E dove, come valore aggiunto specifico, si possono scambiare competenze e fare sinergia – networking, come usa dire in questi ambienti – con altre professionalità presenti nella medesima location, creando una rete collaborativa peer-to-peer che supporta questi lavoratori autonomi nello sviluppo dei loro progetti. Una soluzione ideale per chi non dispone dei capitali necessari per l’avvio di un ufficio e punta a potenziare la propria creatività sfruttando le competenze dei “vicini di scrivania”. Un’altra faccia della sharing economy, a cui la collega anche il forte legame con le tecnologie digitali e le piattaforme di molte realtà ospitate in questi spazi.

Quello del coworking è ormai un fenomeno di dimensioni mondiali: coworkingmap.org ha censito oltre mille (1036) spazi presenti in 608 città distribuite in 89 Paesi, per un totale di quasi 50mila postazioni allestite (49.463 al momento). Poche? Tante? Il punto è semmai la velocità con cui questa formula ha preso piede: «Dal 2005, quando fu avviata la prima esperienza a San Francisco secondo un approccio open source al lavoro, dagli Usa all’Europa il coworking ha continuato ad espandersi senza sosta in tutto l’Occidente come fenomeno tipicamente urbano; ed oggi registra ritmi di crescita frenetica in Asia, ad esempio a Bangkok, Hong Kong, Singapore», osserva Alessandro Gandini, sociologo e studioso del fenomeno.

Al modello del coworking ho dedicato l’articolo “Uniti da una scrivaniauscito sul numero 10 maggio-giugno di Materia Rinnovabile/Renewable Matter.
Lo potete leggere in italiano e nella traduzione inglese nei pdf allegati.

coworking_MateriaRinnovabile.pdf

coworking_RenewableMatter.pdf

Silvia Zamboni

Giornalista – Ambiente e Sostenibilità, Energia e Cambiamenti Climatici, Economia Circolare, Green Economy, Sharing e Digital Economy, Mobilità Sostenibile, Turismo Sostenibile, Agricoltura e Manifattura Biologica, Politiche Ambientali Europee.