Quarantacinque corpi straziati e carbonizzati, tra questi il corpicino di un bimbo con ancora addosso il pigiamino, senza testa e senza una gamba. Non c’è fine all’orrore dell’offensiva dell’esercito israeliano a Gaza, che lunedì notte ha infierito sul campo di sfollati di Tal as-Sultan, a nord-ovest di Rafah, causando anche duecento feriti. Dalle prime ricostruzioni emerge che le bombe hanno innescato l’incendio che ha inghiottito i profughi e le loro povere cose.
Non è tollerabile questa carneficina. La stessa procuratrice capo dell’esercito israeliano, Yifat Tomer-Yerushalmi, ieri ha comunicato che il suo ufficio sta investigando su 70 casi di presunte violazioni delle leggi di guerra nei 234 giorni dell’offensiva contro Hamas a Gaza ordinata dal premier israeliano Netanyahu dopo la strage del 7 ottobre perpetrata da Hamas. Ma il bambino carbonizzato e gli oltre 35mila civili uccisi, per il 70% bambini e donne, cosa c’entravano con Hamas? E i feriti, molti dei quali per tutta la vita porteranno sul corpo i segni dei danni subiti?


“E’ giunto il tempo per i Paesi membri della NATO di considerare se debbano revocare alcune delle restrizioni all’uso delle armi che hanno donato all’Ucraina”, ha dichiarato in un’intervista al settimanale britannico The Economist. “Negare all’Ucraina la possibilità di usare queste armi contro obiettivi militari legittimi nel territorio russo rende loro difficile difendersi soprattutto ora che ci sono molti combattimenti in corso nella regione di Kharkiv, vicino al confine”.

Quello che serve all’Ucraina è aprire percorsi diplomatici per porre fine all’aggressione militare ordinata da Putin, non allargare il conflitto entro i confini russi impiegando armi occidentali.
Usa e Cina facciano da mediatori per arrivare alla pace.