Dopo il disastro in Romagna ci si aspetterebbe una strategia di prevenzione. E invece nulla

Questo articolo è stato pubblicato sul mio blog sul Fatto Quotidiano

Nell’ultimo decennio la crisi climatica e gli eventi meteo estremi hanno provocato nel mondo in media 21,5 milioni di nuovi sfollati all’anno, più del doppio di quelli causati da conflitti e violenze. Ma chi pensava che gli sfollati ambientali fossero un fenomeno solo dei paesi più poveri del mondo si sbagliava. La recente alluvione in Emilia-Romagna, le case invase da acqua e fango, le palestre attrezzate come dormitori, le abitazioni evacuate dovrebbero avere aperto gli occhi a chi ancora si ostina a negare l’evidenza: la campana del cambiamento climatico ha suonato forte anche qua.

E dopo le estati torride e siccitose degli ultimi anni, con trombe d’aria che spazzavano via ombrelloni e sdrai dalle spiagge romagnole, da inizio maggio sono state le piogge torrenziali a portare devastazione. Col seguito non meno drammatico di frane e smottamenti che hanno visto sbriciolarsi strade, ponti e montagne.

Nessuna sorpresa per chi aveva letto il Rapporto di ISPRA sul dissesto idrogeologico relativo al 2021: l’Emilia-Romagna è classificata come la regione maggiormente a rischio alluvioni dopo la Calabria. La superficie ad alto rischio di pericolosità idraulica è pari all’11,6% della superficie totale, mentre le aree esposte a rischio idraulico di media e bassa entità ammontano rispettivamente al 45,6% e al 47,3%.

All’alta vulnerabilità idrogeologica si è aggiunto l’intensificarsi dei fenomeni meteo estremi. Ne parla il report di CittàClima – l’Osservatorio nazionale di Legambiente Onlus, che monitora l’impatto dei cambiamenti climatici con particolare riguardo per le aree urbane, dal quale emerge che nel 2022 sono stati 18 gli eventi che hanno colpito l’Emilia-Romagna, il numero più alto finora, in un trend in costante crescita.

Ma è tutta l’Italia a essere esposta all’accelerazione dell’emergenza climatica: con 310 fenomeni meteo estremi che hanno provocato danni da nord a sud del Paese, il 2022 ha segnato un +55% rispetto all’anno precedente. E a giudicare dai primi mesi appena trascorsi, anche il 2023 non pare voler essere da meno.

In un contesto così stabilmente a rischio, ci si aspetterebbe che l’Italia si sia già dotata di un Piano nazionale di Adattamento al Cambiamento climatico, operativo e finanziato. Non è così. Tra i 24 Paesi europei che hanno adottato un piano nazionale o settoriale di adattamento al global climate change spicca l’assenza del nostro Paese. Che tuttavia, stando ai dati disponibili da maggio 2013 a maggio 2022 rielaborati da Legambiente, ha speso 13,3 miliardi di euro per affrontare le emergenze meteoclimatiche, in un rapporto di quasi 1 a 4 tra risorse investite in prevenzione e risorse investite per riparare i danni.

Anche per l’alluvione in Emilia-Romagna si prospettano danni per svariati miliardi di euro. Mentre l’Italia continua a rincorrere le emergenze senza darsi una strategia chiara di prevenzione, supportata da risorse adeguate. E senza porre fine a pratiche pericolose come l’eccessivo consumo di suolo, i mini e maxi condoni edilizi, la mancata cura e manutenzione degli habitat naturali, la compressione degli alvei fluviali e l’emissione dei gas climalteranti all’origine del riscaldamento globale.

E di chi sarebbe la responsabilità di questi ritardi e di queste pratiche insostenibili di gestione del territorio? Incredibile a dirsi e leggersi: di Verdi e ambientalisti. Ovvero in coloro che da decenni, isolati e spesso sbeffeggiati, hanno raccolto l’allarme della comunità mondiale degli scienziati dell’Onu dell’Ipcc, sollecitando governi, parlamenti, amministrazioni locali, imprese, agricoltori, allevatori e cittadinanza a imboccare con urgenza la strada della transizione energetica ed ecologica.

A sparare il fango mediatico contro noi Verdi e ambientalisti, nel ridicolo tentativo di sviare l’attenzione dai veri responsabili, si sono visti all’opera anche i ministri Musumeci e Pichetto Fratin, che non ricordiamo essere mai stati in prima linea al nostro fianco né per ridurre in maniera significativa le emissioni di gas serra, né per contenere le conseguenze sempre più disastrose del cambiamento climatico, né per ridurre il consumo di suolo, né per rinaturalizzare i bacini fluviali.

Facciamo politica in maniera seria, noi Verdi, e per noi parlano gli atti: questo, per gli interessati, l’elenco delle mie interrogazioni in Assemblea Legislativa Emilia-Romagna sui temi della sicurezza del territorio.

Siamo noi Verdi che accusiamo i governi nazionali di cui non abbiamo fatto parte e denunciamo l’insufficienza delle politiche regionali. Altro che rigassificatori e Italia hub del gas: occorre cambiare rotta, subito. Smettere di cementificare con la sempre più invadente logistica e nuove strade e autostrade, e cominciare a desigilizzare i suoli.

Anche oggi rinnoviamo la nostra solidarietà alle comunità colpite e sosteniamo la raccolta fondi lanciata dalla Regione Emilia-Romagna e l’azione della Giunta affinché il governo metta a disposizione, con tempismo, le risorse necessarie. È chiaro però che la ricostruzione dovrà fare tesoro di questa tragedia ambientale. Bisognerà, ad esempio, affrontare il tema della delocalizzazione di edifici dalle zone esondabili. Diversamente sarebbe come costruire fabbricati non antisismici dopo un terremoto. Sulla ricostruzione porteremo, come sempre, il nostro contributo di proposte. Perché non c’è futuro se non mettiamo al primo posto la cura della casa comune. Tutto il resto è vergognosa distrazione di massa.

 

Silvia Zamboni

Giornalista – Ambiente e Sostenibilità, Energia e Cambiamenti Climatici, Economia Circolare, Green Economy, Sharing e Digital Economy, Mobilità Sostenibile, Turismo Sostenibile, Agricoltura e Manifattura Biologica, Politiche Ambientali Europee.